giovedì 25 novembre 2021

Su una zattera

Seduta su una zattera precaria, fisso la quiete dell'acqua, combattuta tra lo sperare in una mareggiata che mi avvicini alla riva e allo stesso tempo terrorizzata dall idea di muovermi e precipitare in queste acque scure e profonde. Lessi un libro, anni fa, parlava di marinai persi su una barca arrangiata che finiscono per mangiarsi a vicenda pur di sopravvivere. Non sono il tipo, io. Piuttosto mangerei pezzettini di me finché non rimarrebbe più nulla di cui nutrirsi. Continuerei a stare immobile ed impassibile sul ritmo placido di questo movimento quasi statico che pare mi culli, che a volte mi fa girare la testa dandomi l'illusione che mi stia muovendo e invece sono pietrificata e contratta, come un muscolo in uno spasmo. Sento la consapevolezza di dover fare qualcosa, eppure fatico persino a respirare. Fatico ad aprire gli occhi, ad abituarmi alla luce. Non so esattamente come io sia finita qui. Come questa mia testa mi abbia trascinata in questo limbo dimenticato. Da una parte mi sento sola, dall altra penso sia l unico posto dove dovrei stare ora. Qui a decidere cosa fare, perennemente ad osservare, analizzare, ad aggiustare questa me che si è persa e non sa più come tornare. Mi sono chiesta se ignorare il mare e il suo cullare dolce e nauseabondo sia la soluzione. Alla fine le cose esistono solo se te ne convinci sufficientemente, no? Basterebbe realizzare che è tutto qui in questa testa stanca. Che questa zattera rotta non esiste davvero. Che sono a casa, al sicuro, che nulla mi manca davvero. È questo che mi fa incazzare. Sto qui in mezzo ad un oceano di merda perché l'ho scelto. Ho scelto io di vedere questo buio pesto. Ho deciso che quello che ho, non è apparentemente sufficiente per sentirmi felice. Che razza di idiota. Forse me lo merito. Tutto questo buio pesto, questa apatia, questa insofferenza che mi costringe. Me lo merito perché non mi mancava nulla poco fa, quando me ne stavo calda e asciutta su quell'isola di amore, ricca di tutto quello che una persona felice ha bisogno. E no. Mi sono buttata in mare, senza stremo ho nuotato in acque sempre più profonde finché ho perso la riva, e con quella tutte le gioie che possedevo. Su questa zattera malinconica, mi immagino di alzarmi, con diligenza mantengo l'equilibrio per qualche secondo. Poi mi lascio andare. Un'ondata di gelo mi riveste mentre entro in acqua di peso. Cerco il fondo di questo oceano spaventoso. Mi basterebbe sfiorarlo con un dito e darmi una spinta. Non sono mai stata una grande nuotatrice, ma immagino sia una scusa che dico a me stessa solo per sentirmi giustificata, se mai non riuscissi davvero a raggiungere di nuovo la superficie. Non so bene quando lo abbia deciso, ma mi rilasso. Lascio che questo buio mi abbracci, mi scivoli addosso come una folta coperta. Rilasso le labbra, l acqua mi riempie i polmoni stanchi, grinzi e privi di aria. Il sale mi punge la gola. C è una quiete indescrivibile nella consapevolezza che ho mollato. I miei muscoli flaccidi sono leggerissimi e tutta l'energia che impiegavo nel cercare la strada giusta si dissolve, si dissipa in un lungo filo di nulla. Il nulla assoluto. Sembra cosí piú semplice non sforzarsi affatto e mollare la presa. Non c è gioia, ma non c è nemmeno dolore. Sono qui in questo oceano di paura. Sono qui, e dovrei essere altrove. Sono qui e dicono che ci si abitui a tutto, con un po' di pratica. Seduta su questa zattera precaria, apro di nuovo gli occhi e fisso la quiete di quest'acqua scura, sentendomi irremidiabilmente ignava. Mi immagino tante cose, qui seduta, ma rimango immobile e respiro allo stesso ritmo delle onde, che mi cullano lente e costanti. Non riesco a trovare nulla che sia peggio di questo, ma diciamo che non guardo il mondo dalla migliore delle prospettive...